Il contributo di
Massimo Manfredi
La prima volta che incontrai Gallieno Ferri stavo alla Lucca del '95. Allora le fiere del fumetto erano fiere del fumetto, e dato che c'era modo e tempo per fermarsi a parlare con gli autori, noi giovincelli giravamo tra gli stand col sogno di incontrare chi ce ne aveva creati tanti.
Ferri era lì fuori dal mega stand Bonelli, in attesa del suo turno per la sessione di firme. Mentre mi avvicinano per parlargli, a me batteva il cuore come quando anni prima abbordavo le ragazze, ma in due secondi la paura svanì perché lui ci sorrideva benevolo, come fosse stato uno di quegli zii che ci intrattenevano da bambini, il cui volto adesso non ricordavamo più bene, ma non così le storie fantastiche che inventava per noi.
A un certo punto gli chiedemmo se poteva farci un disegno volante. Lui si rabbuiò un attimo guardando verso lo stand: "Beh, sapete, non si può... ci sono gli spazi apposta per le firme...".
Poi si guardò ancora in giro e ci strizzò l'occhio: "Seguitemi". Ci portò a zonzo una decina di metri mentre cercava un luogo da imboscati e, una volta trovatolo, prese i fogli e cominciò a volteggiare di penna. "Eh, scusatemi ma poi lì davanti allo stand mi fanno storie...". LUI si scusava.
Io trattenevo il respiro mentre Zagor e Cico prendevano forma davanti ai miei occhi per la prima volta. Il mio cervello non riusciva a formulare nessun pensiero, se non che avevo davanti Gallieno Ferri, il mio mito, e stava facendo un disegno proprio per me, solo per me!
"Scusate, non sta venendo tanto bene, non ho gli occhiali". LUI si scusava ancora!
In quel momento capii bene cosa è la Grandezza. Quel misto di capacità e modestia, l'aver ricevuto il dono prezioso di emozionare le persone, e spendere questo potere immenso con l'umiltà di chi ritiene di fare una cosa normale.
Chiunque ha avuto modo di incontrare i propri idoli sa cosa provassi dieci minuti prima. La paura che l'immagine che ti fai di qualcuno conoscendolo solo attraverso la propria arte, possa frantumarsi incontrandolo realmente. E adesso, mentre venivo via accarezzando il mio preziosissimo A4, ero così felice che non solo nessuna scheggia mi aveva ferito, ma anzi quell'immagine era ancora più luminosa e granitica.
Allora grazie sig. Ferri. Di certo per aver creato tanti miei sogni con la sua china, ma anche per averli resi indistruttibili nello scrigno della mia infanzia, col suo sorriso gentile e una strizzata d'occhio.
PS: Ci siamo poi reincontrati altre volte negli anni, alle fiere o in altre circostanze belle e meno belle. Questa è una delle mie foto preferite in assoluto, scattata l’anno dopo. Mi sono presentato e lui si ricordava di me (non so se fosse vero, ma poco importa). Mi piace perché non siamo in posa come quando ti fai la foto con qualcuno, ma stiamo chiacchierando normalmente come fossimo due amici. Come fossimo a raccontarci le cose nostre, o forse a scusarci di qualcosa.